Come spesso va a finire, più si cercano posti carini tanto lontano e più si finisce per ritrovarseli proprio sotto il naso.
Due giorni fa decido di andare a visitare quella svastichina che vedo sulla cartina, nei pressi della zona dell'università. Infatti, nelle cartine giapponesi - e forse anche in quelle di altri paesi orientali - la svastica indica la presenza di un tempio e non ha niente a che vedere con la simbologia nazista a cui finiamo inevitabilmente per associarla noi occidentali.
Quella zona vicino alla stazione di Iidabashi che avevo sempre snobbato e che si è rivelata molto carina si chiama Kagurazaka ("Kagura" è il nome di una danza durante i rituali shintoisti, "zaka" significa "collina").
Tutto si sviluppa attorno ad una piccola porzione della lunga strada chiamata "Waseda Doori", che parte dal giardino della residenza imperiale, precisamente dalla porta Tayasumon (田安門) ed arriva fino all'università da cui prende il nome. Talvolta, la porzione di strada che attraversa Kagurazaka viene proprio detta Kagurazaka doori.
Il Tayasumon (田安門) , costruito nel 1635, è la più antica costruzione
rimasta del castello Tokugawa. Questo è il suo lato interno.
rimasta del castello Tokugawa. Questo è il suo lato interno.
Kagurazaka era popolare nei primi del Novecento per la presenza di okiya (置屋), ovvero "case di geisha", e di quel periodo mantiene in parte l'atmosfera grazie ai ristoranti tradizionali e ad altri negozi che vendono kimono, geta, tè, ceramiche giapponesi, etc.
In contrasto con questo aspetto "old-fashioned", c'è la componente multiculturale, dove noi italiani la facciamo da padrone. È infatti una zona curiosamente ricca di ristoranti italiani, una "Little Italy" culinaria: "Enoteca Il Chianti", "Stefano", "Caffè triestino", "Magherita Pagliaccio", sono soltanto alcuni dei nomi che si possono leggere nelle insegne degli esercizi commerciali della zona.
Un certo fascino è poi esercitato dai due templi che si incontrano passeggiando in questa porzione di strada: il primo, sulla sinistra venendo dalla stazione Iidabashi, è il tempio Zenkokuji, dove ho notato un intenso via vai di persone nel breve arco di tempo che sono rimasta lì a scattare qualche fotografia.
Un certo fascino è poi esercitato dai due templi che si incontrano passeggiando in questa porzione di strada: il primo, sulla sinistra venendo dalla stazione Iidabashi, è il tempio Zenkokuji, dove ho notato un intenso via vai di persone nel breve arco di tempo che sono rimasta lì a scattare qualche fotografia.
Il tempio, le cui origini risalgono al XVI secolo, fu raso al suolo dai bombardamenti incendiari degli americani durante la seconda guerra mondiale ed è stato ricostruito nel 1951. È dedicato alla divinità buddhista Bishamonten (毘沙門天), uno dei Quattro Re Celesti della religione buddhista (equivalente dei "Guardiani dei punti cardinali" della religione induista), particolarmente legato al segno zodiacale della Tigre, motivo per cui all'ingresso ci sono due grosse statue di questo felino.
Questa fotaccia scattata col cellulare perché la batteria della macchina fotografica
si era scaricata, non rende bene quanto "pura" nella sua bianchezza sia
l'atmosfera che avvolge questo tempio.
Il tempio è stato ricostruito da poco, nel 2010, dall'architetto giapponese Kengo Kuma (隈 研吾).
Il che, da una parte, questo buttare giù e ricostruire ex novo rientra un po' nella filosofia giapponese (l'onnipresente poetica dell'impermanenza delle cose), che va ad aggiungersi all'utilizzo di materiali facilmente deperibili come il legno, più facili da sostituire che non da restaurare. Però dall'altro lato, è impossibile non provare un po' di tristezza perché, così facendo, quell'atmosfera malinconica del Giappone Shōwa* va a scomparire per sempre.
*Showa è secondo il nengō (calendario giapponese) il nome del periodo corrispondente al regno imperatore Hirohito, ovvero dal 1926 al 1989.