domenica 30 settembre 2012

Old-Fashioned Kagurazaka

Come spesso va a finire, più si cercano posti carini tanto lontano e più si finisce per ritrovarseli proprio sotto il naso.

Due giorni fa decido di andare a visitare quella svastichina che vedo sulla cartina, nei pressi della zona dell'università. Infatti, nelle cartine giapponesi - e forse anche in quelle di altri paesi orientali - la svastica indica la presenza di un tempio e non ha niente a che vedere con la simbologia nazista a cui finiamo inevitabilmente per associarla noi occidentali.

Quella zona  vicino alla stazione di Iidabashi che avevo sempre snobbato e che si è rivelata molto carina si chiama Kagurazaka ("Kagura" è il nome di una danza durante i rituali shintoisti, "zaka" significa "collina").
Tutto si sviluppa attorno ad una piccola porzione della lunga strada chiamata "Waseda Doori", che parte dal giardino della residenza imperiale, precisamente dalla porta Tayasumon (田安門) ed arriva fino all'università da cui prende il nome. Talvolta, la porzione di strada che attraversa Kagurazaka viene proprio detta Kagurazaka doori.

Il Tayasumon (田安門) , costruito nel 1635, è la più antica costruzione
rimasta del castello Tokugawa. Questo è il suo lato interno.


Kagurazaka era popolare nei primi del Novecento per la presenza di okiya (置屋), ovvero "case di geisha", e di quel periodo mantiene in parte l'atmosfera grazie ai ristoranti tradizionali e ad altri negozi che vendono kimono, geta, tè, ceramiche giapponesi, etc.
In contrasto con questo aspetto "old-fashioned", c'è la componente multiculturale, dove noi italiani la facciamo da padrone. È infatti una zona curiosamente ricca di ristoranti italiani, una "Little Italy" culinaria:  "Enoteca Il Chianti", "Stefano", "Caffè triestino", "Magherita Pagliaccio", sono soltanto alcuni dei nomi che si possono leggere nelle insegne degli esercizi commerciali della zona.

Un certo fascino è poi esercitato dai due templi che si incontrano passeggiando in questa porzione di strada: il primo, sulla sinistra venendo dalla stazione Iidabashi, è il tempio Zenkokuji, dove ho notato un intenso via vai di persone nel breve arco di tempo che sono rimasta lì a scattare qualche fotografia.
Il tempio, le cui origini risalgono al XVI secolo, fu raso al suolo dai bombardamenti incendiari degli americani durante la seconda guerra mondiale ed è stato ricostruito nel 1951. È dedicato alla divinità buddhista Bishamonten (毘沙門天), uno dei Quattro Re Celesti della religione buddhista (equivalente dei "Guardiani dei punti cardinali" della religione induista), particolarmente legato al segno zodiacale della Tigre, motivo per cui all'ingresso ci sono due grosse statue di questo felino.






Poco più avanti sul lato destro di Kagurazaka Doori, non direttamente affacciato sulla strada ma leggermente nascosto all'interno, c'è il tempio Akagi Jinja (赤城神社), il cui colore dominante, nonostante l'ideogramma di "rosso" presente nel suo nome, è il bianco. Questo tempio, il cui viale di ingresso è accompagnato da filari di alberi e lanterne rosse, colpisce per le sue forme nette e geometriche, soprattutto le colonne su cui poggiano le lanterne di pietra, comunicando una sensazione di sobrietà "zen".





Questa fotaccia scattata col cellulare perché la batteria della macchina fotografica 
si era scaricata, non rende bene quanto "pura" nella sua bianchezza  sia 
l'atmosfera che avvolge questo tempio.



Il tempio è stato ricostruito da poco, nel 2010, dall'architetto giapponese Kengo Kuma (隈 研吾).
Il che, da una parte, questo buttare giù e ricostruire ex novo rientra un po' nella filosofia giapponese (l'onnipresente poetica dell'impermanenza delle cose), che va ad aggiungersi all'utilizzo di materiali facilmente deperibili come il legno, più facili da sostituire che non da restaurare. Però dall'altro lato, è impossibile non provare un po' di tristezza perché, così facendo, quell'atmosfera malinconica del Giappone Shōwa* va a scomparire per sempre.



*Showa è secondo il nengō (calendario giapponese) il nome del periodo corrispondente al regno imperatore Hirohito, ovvero dal 1926 al 1989.

lunedì 24 settembre 2012

Ambigue stravaganze


Di questi avevo già visto la foto messa su Facebook da una mia amica, ma ritrovarseli davanti fa tutto un altro effetto. 



In teoria  dovrebbero proteggere le dita o migliornarne la prensilità durante lo svolgimento di alcune particolari attività (cercate 指保護サック su Google Immagini).


I sospetti che servano ad altro sorgono spontanei.

Dai, sanno troppo di copertura per camuffare certe dicerie sugli orientali.



domenica 23 settembre 2012

Tokyo Game Show 2012

Finalmente, con 15 anni di ritardo rispetto a quando avevo sognato di andarci: il Tokyo Game Show.
Che poi non è a Tokyo, ma al Makuhari Messe nella prefettura di Chiba (circa 40-50 minuti da Tokyo).


In tutta sincerità, non è che di questo periodo avessi particolare interesse a visitare questa esposizione di videogiochi che, per chi non la conoscesse, è la più importante a livello internazionale.
Però è uno di quegli eventi di cui hai sempre sentito parlare, avvolti da un'aura "mitica", complice anche la lontananza geografica che in questo caso non lo rende facilmente accessibile.
Un po' come trovarsi in California a fine febbraio e non fare un salto al Kodak Theatre per la cerimonia degli Oscar. Sono quelle cose che devono essere fatte. Punto.

Beh, la prima parola che mi viene in mente ripensando alla giornata di ieri è: olfatto.
Non è un evento adatto a chi ha l'olfatto molto sensibile. Zaffate di sudore improvvise e letali potrebbero prosciugarti gli HP e farti stramazzare incosciente a terra.
Otaku sovrappeso con magliette chiazzate di sudore ammassati a scattare foto alle ragazze in cosplay come le galline nel pollaio quando gli viene lanciato il becchime. Febbricitanti primi piani di tette.



Di gente ce n'era pochina.

Parola due: attesa.
Eh sì, "Com'è lunga l'attesa." dice Tosca.
50 minuti di fila per entrare in UN solo stand. Motivo per cui ho deciso che solo la Square (ed ho omesso volutamente "Enix", con cui con cui -ahimè- la gloriosa Squaresoft si dovette fondere un tragico giorno nel lontano 2003) valeva questo sacrificio.
E l'hanno pensato in molti visto che era uno degli stand più affollati, battuto giusto dalla Capcom che aveva un'attesa prevista di 90 minuti.



Ogni attività era completamente impossibile. Ovunque file interminabili. Per provare i nuovi videogiochi: file interminabili. Per acquistare un gadget birisegolo: file interminabili.  Per mangiare una cavolo di yakisoba: file interminabili.
Ma chi è stato a Lucca Comics sa che in certi ambienti le file interminabili sono normale amministrazione. Fanno parte del gioco.
Certo è che invece di farlo durare solo 2 giorni (in realtà sono 4, ma i primi due giorni sono solo per la stampa e gente del settore), potrebbero "spalmarlo" su un arco temporale più ampio, così da sfoltire un minimo il numero di presenze nel weekend.

Mah, in definitiva purtroppo non saprei dire con precisione quali siano le novità presentate a questa fiera. Ho visto giusto il trailer Bravely Default: Flying Fairy, un videogioco carino targato Square Enix, che lì per lì mi sembrava solo un remake di Final Fantasy IX, perché si sa, da quando Sakaguchi e Uematsu se ne sono andati, alla Square Enix vivono solo di rendita.

Concludo con un po' di foto di cosplayers nipponici.








venerdì 21 settembre 2012

Orgoglio Hoseiano

Anche una tranquilla giornata universitaria può rivelare piccole, inaspettate sorprese.

Uscendo da lezione, vedo un numeroso assembramento di studenti in uno spazio aperto tra gli edifici del campus. Mi avvicino e vedo sul palco una ragazzetta con una medaglia in mano, sorridente, mentre tutti le scattano miriadi di foto.


Scopro che costei è Miyake Hiromi, una ex studentessa dell'università Hosei che, come l'enorme striscione dietro di lei spiega, nel marzo 2008 si è laureata in "Career Design", ed è tornata nella sua "università madre" per celebrare la vittoria della medaglia d'argento nella disciplina del sollevamento pesi, categoria 48 kg, alle Olimpiadi di Londra di quest'anno.

Improvvisamente, dopo che varie personalità si sono schierate sul palco, parte la musica: nell'angolo in fondo a destra c'è la piccola banda universitaria che inizia a suonare l'inno dell'università mentre di fronte al palco, alcuni studenti si esibiscono in una sorta di "balletto" (oddio, definirlo così mi pare un po' esagerato) celebrativo.

L'inno dell'università Hosei ha un certo non so che dell'imponente coralità dell'Internazionale, con un retrogusto di solennità alla Edward Elgar (tipo Pump and Circumstances, per intendersi).

Giusto per farsi un'idea... (prossimamente la traduzione...)

Terminata la cerimonia, alla quale ho assistito con una certa soddisfazione, esco dai cancelli dell'università, dove sento un gran vociare al megafono. Mi avvicino e ci sono due ragazzi che distribuiscono volantini che cerco di prendere appagare la mia curiosità. La ragazza vede che sono gaijin, straniera, ed inizia a spiegarmi - mezzo in giapponese, mezzo in inglese - il motivo della loro protesta. I motivi in realtà sono due: il primo è che, essendoci tra poco una non ben precisata festa universitaria, loro si oppongono all'eccessivo sbevazzamento con conseguente micidiale ubriacatura. E vabbè. M'è sembrata un po' una protesta "da catechismo", alla Ned Flanders insomma. Il secondo, ben più interessante, è la protesta contro la riapertura delle centrali nucleari che, come la ragazza mi spiegava, nonostante il governo abbia detto "Tra 30 anni usciremo completamente dal nucleare!", in realtà è lì zitto zitto che ne sta costruendo altre due...
"Politici bugiardi!" mi ha detto. E questa cosa ha un certo non so che di familiare.

Grande festa alla corte di Francia...

Tokyo ha da offrire talmente tanto che anche dei bellissimi eventi, ingurgitati nel marasma quotidiano, rischiano di passare inosservati.
Lo stesso stava per accadere alla stupenda mostra che ho avuto la fortuna di poter visitare oggi. Casualmente un manifesto all'università ha attirato la mia attenzione: in genere i personaggi di anime, manga e trasmissioni televisive vengono sfruttati per pubblicizzare un'infinità di prodotti, ma contrariamente alle aspettative, ho scoperto proprio che si trattava di una mostra, tra le altre cose dalla durata molto limitata.

La mostra in questione è il 40° anniversario della pubblicazione del famoso fumetto "Berusayu no Bara" ベルサイユのばら, ovvero "Le Rose di Versailles", conosciuto da noi con il molto meno poetico ed estremamente antipatico  "Lady Oscar".


La mostra (il cui link ufficiale è qui) è stata allestita all'ottavo piano di un centro commerciale sciccosissimo, tale "Matsuya Ginza" che si trova, appunto, a Ginza. (Tra le altre cose, è così sobrio che pare al nono piano ci sia un campo da golf sul tetto).
Contrariamente ai deserti corridoi del negozio, tra Chanel, Dior, Louis Vuitton e Prada, la mostra era veramente, esageratamente, fastidiosamente piena di gente. Prevalentemente donne. E prevalentemente di mezza età (si consideri che il manga in questione è del 1972).

Già partita stamattina con l'intento di visitare la mostra dopo le lezioni, mi ero ben attrezzata portandomi un bel chilo o due di macchina fotografica reflex. Volevo scattare tantissime foto e immortalare questo memorabile momento. Ho pensato "Insomma, questa è roba pubblicata e ripubblicata, trasmessa milioni di volte in televisione e spiattellata sui muri come testimonial pubblicitario, non credo proprio che ci sarà il divieto di fare fotografie!". Eccoci, appunto. Divieto assoluto di fare fotografie.

Purtroppo è quasi impossibile per me rievocare con le sole parole l'emozione di poter vedere le tavole originali, con tanto di correzioni, chiazze di inchiostro, retini. Mi sembrava quasi impossibile di poter vedere dal vivo queste opere d'arte così lontane nel tempo e nello spazio. Insomma, non è cosa da tutti giorni, visto che si tratta di un fumetto del 1972, custodito gelosamente nei cassetti della scrivania della signora Ikeda, in un paese a quasi 10.000 chilometri di distanza dal nostro.

Ma ancor più emozionante è stato vedere gli acetati, i fogli di rodovetro usati in animazione, utilizzati dalla Tōkyō Movie Shinsha per realizzare la serie animata.
Le lucciole della famosa scena sul finale nient'altro sono che delle spruzzate, pare ad aerografo, su un foglio di acetato. E il quadro di Oscar che si vede in una delle ultime puntate, è veramente un dipinto su tela. Molto carina anche la spiegazione della tecnica con cui è stato realizzato il famoso fermo immagine alla fine di ogni puntata, firma inconfondibile della serie.





Tutto questo ovviamente arricchito dalle bellissime musiche della serie animata, composte da Koji Makaino.

Oltre a questo c'era un'interessante sezione sull'adattamento - o meglio, sui vari adattamenti - teatrali realizzati dalla compagnia Takarazuka, il teatro di sole donne nato nei primi del Novecento nella cittadina da cui la compagnia prende nome. In questa sezione erano esposte numerose locandine, oggetti di scena e costumi perlopiù originali, eccetto qualche riproduzione.
Infine, un'ultima sala con oggetti di merchandising prodotti negli anni e vari tributi di disegnatori giapponesi che hanno reinterpretato il personaggio di Oscar con il loro stile.


All'uscita l'immancabile punto vendita con una serie molto numerosa (e costosa) di gadget di vario tipo - dalle più classiche cartoline, ai quaderni, dalle caramelle (??) alle saponette (??), e via poi con specchi, asciugamani da viso, biscotti, cover per IPhone, sali da bagno, etc etc (i giapponesi scatenano tutta la loro irrefrenabile fantasia quando si tratta di merchandising).

 (Una delle tante cartoline)

Piccola considerazione riguarda l'accurato packaging degli acquisti. È consuetudine in Giappone, tanto più se si tratta di un negozio di alto livello, prestare cura e attenzione alla confezione del prodotto venduto. Ciò comporta un bellissimo effetto - soprattutto se si tratta di un regalo - ma anche la deforestazione di mezza Amazzonia con tutta quella carta e cartina usata per impacchettare 50 volte il solito oggetto.

 (e in questo caso il packaging non è nemmeno niente di trascendentale...)

L'altro pacchettino nella foto è quello contenente gli acquisti di Itoya, un immenso department store di 9 piani dedicato alla cancelleria, a pochi passi da Matsuya Ginza. Pensa all'oggetto di cancelleria più ricercato e particolare che un uomo potrebbe mai concepire. Ecco, Itoya ce l'ha.

(Itoya. Molto più che una mega graffetta.)

giovedì 20 settembre 2012

Riprendendo calorie...

Qui è tutto una caloria. Una persecuzione.

Uno non può nemmeno andare a mensa, che subito gli fanno venire i sensi di colpa. Ogni piatto - accuratamente riprodotto con delle sculture di cera come è consuetudine fare qui in Giappone - ha indicazioni su quante calorie contiene.

Il buonissimo katsu-kare (riso al curry più "tonkatsu", dove il "tonkatsu", che sarebbe la cotoletta di maiale, evoca sempre immagini fuorvianti in noi italiani...) ne contiene ben 758 nella sua versione "Small".




E comunque, senza preoccupazioni o sensi di colpa, posso dire che era veramente buono!
E poi, se uno proprio proprio vuole smaltire tutte le 758 calorie, basta andare nel grande magazzino del post precedente e farsi le scale giusto quella quarantina di volte!



domenica 16 settembre 2012

Bruciando calorie...


Camminare, correre, saltellare: tutto pur di muoversi e bruciare qualche caloria. E allora smettiamo di prendere l'ascensore e facciamoci a piedi le scale!

Ma effettivamente, fare le scale paga ai fini dello smaltimento di qualche chiletto di troppo?

Il magazzino Tōkyū Hands di Shibuya, oltre agli inimmaginabili desideri dei cultori del fai da te, soddisfa anche questa curiosità.

Ogni scalino ci compiace informandoci su quante calorie stiamo bruciando nell'esatto momento in cui facciamo l'estrema fatica di alzare il piede per spostare di 15 centimetri verso l'alto tutta la nostra consistente massa corporea.

Un decimo di kcal. A scalino.



E giunti fino al settimo piano, stremati da tale impresa titanica, possiamo concederci un meritato ristoro con tè e pasticcini nello spazio bar, giusto per riprendere quelle 18 kcal che, in fondo in fondo, un po' già ci mancavano.


Segna-letica




Ovvero: "Divieto d'accesso! ... Ma volendo, swissh!! Anche no."
Oddio. Questo cartello avrà fatto strage ai test per la patente.

(Che poi sarebbe un semplice "Divieto di sorpasso". Però lì per lì m'è sembrato un po' buffo.)

sabato 15 settembre 2012

Istantanee da Shimokitazawa (1)

In Italia, paese ricco di storia e consuetudini, c'è chi vanta tradizioni centenarie e attività tramandate di generazione in generazione: Antica Pizzeria dal 1870, Caffè dal 1720, Torrefazione dal 1939.

Ma Tokyo è una città moderna. Ed infatti c'è questa pizzeria, "Da Oggi".


Chissà se domani si chiamerà allo stesso modo.

"Cerco casa disperatamente"

Dopo l'esperienza kyotese nel dormitorio dell'università, seppur serbando dei bei ricordi, c'era la necessità di un cambiamento. Ho avuto la fortuna che mi venisse proposto di condividere un appartamento vicino ad uno dei quartieri più pittoreschi e vivaci della città, Shimokitazawa, e la scelta si è rivelata - ad ora - azzeccata.

La casa ha un'essenza tipicamente nipponica, un'essenza che consiste nelle sue dimensioni.
Ridotte, molto ridotte.
Non è un caso che le case giapponesi siano state definite in passato "usagi goya" (ウサギ小屋), ovvero "gabbie per conigli". Tutto è molto ristretto ed essenziale, ci si incastra un po' come le formine del Tetris. Ma è proprio questo che rende l'esperienza divertente.

E poi, uno dei pezzi forti è sicuramente la vista del monte Fuji.



Con il caldo umido che tormenta queste notti tokyesi*, come chiedere un panorama più rinfrescante questo? Due bei condizionatori
E poi vabbè, c'è quella specie di altura nel mezzo.


 -----

*C'è chi si ostina ad usare "tokyota" come aggettivo derivato da "Tokyo". A me "tokyota" non piace. Ha un suono orribile. E poi fa rima con "idiota".Quindi userò sempre e comunque "tokyese".

venerdì 14 settembre 2012

Back to Nippon!

Dopo una traversata perigliosa in un mare di indugi e perplessità, proprio quando sembrava persa ogni speranza e ispirazione, eccoci sbarcati di nuovo sul web!

Parlare di Tokyo in modo originale non è semplice. Sembra tutto molto inflazionato e "ribollito".
Tokyo è elettricità, teleschermi, lucine colorate, orde di persone agli incroci, manga, mode stravaganti, capelli viola rosa e blu, pupazzini colorati, dozzine di linee metropolitane, sale giochi roboanti, centri commerciali di 25 piani, avanguardia, design, moda, gabinetti tecnologizzati, grattacieli, architetture fantascientifiche, traffico, terremoti, videogiochi, delirio, convulsione, zen, solitudine, collettività, innovazione, mutevolezza, eclettismo, poliedricità. E anche tanto altro.

Come si può sperare quindi di raccontare qualcosa di nuovo su una città che già tanto ha fatto parlare e sparlare di sé?

A cambiare sarà forse lo sguardo, sempre unico e personale, e che in questo caso sarà filtrato da un pizzico d'ironia e leggerezza.

Il rischio di cadere nello scontato ci sarà, in fondo spesso si parla di roba trita e ritrita, appunto "ribollita". Ma come la famosa ricetta fiorentina ci insegna, spesso è proprio il suo essere riscaldata e ripresentata che la rende più gustosa e saporita.


Ma poi, in fondo, scontato o meno, anche chi se ne frega.